lunedì 26 febbraio 2024

martedì 26 settembre 2023

I Calia, storia di una famiglia: (1) L'incendio

 Venne svegliato lentamente non accorgendosi subito di cosa stesse accadendo. Un odore acre si era sparso per la piccola cascina. Fu però la moglie a destarlo. Si era alzata e spalancando le veneziane si trovò davanti uno spettacolo spaventoso quanto incredibile. Nella notte più nera di quei primi giorni di agosto il rosso vivo del bagliore delle fiamme illuminava ettari di terreno che andava a fuoco.

Le grida di stupore svegliarono il marito che si avvicinò alla finestra. In tutto quel calore che avvampava l'aria gli si gelò il sangue. L'uliveto dei Calia stava andando a fuoco. Con velocità andò a destare il figlio da poco maggiorenne e dopo avergli detto quello che stava avvenendo lo mandò a chiamare i padroni. Il giovane si vestì alla bene e meglio e dopo di che andò nel piccolo casolare adibito a stalla, attiguo alla casa e una volta sellato il cavallo, che malamente gradì essere svegliato in piena notte, corse velocemente come gli era stato raccomandato. Uscì sfrecciando al galoppo più veloce che potè alzando un polverone che che i bagliori delle fiamme si illuminò di arancione.

Nel frattempo il vecchio Vincenzo, mezzadro per conto dei Calia era andato a chiamare aiuto nelle case vicine; la frase era solo una "Gli ulivi dei Signori stanno bruciando", bastò questo a mobilitare i fattori. Con i carri si iniziarono a trasportare secchi ricolmi di acqua e si cercava di arginare ed evitare che il fuoco continuasse a mangiare voracemente le piante. Tutti gli uomini e le donne si misero di buona lena ed erano impegnati con incitamento reciproco a gettare l'acqua, facendo da spola presso i pozzi vicini e il terreno. Ma più passavano i minuti e più sembrava che il fuoco al posto di spegnersi si nutrisse con ingordigia di quella stessa acqua che invece gli veniva gettata sopra per spegnerlo.

  Nel bel mezzo delle campagne rischiarate dalla falce di luna, il giovane correva sul cavallo  che come avendo capito la gravità batteva le pesanti zampe in corsa sollevando intere zolle di terra ed erba. Lo spronava pesantemente e lo incitava, scavalcando intere siepi. Fortunatamente la dimora dei padroni si trovava a pochi chilometri e quando riuscì ad arrivare alle porte di Serralio, il piccolo paesino dormiva pesantemente. Corse per le strade polverose, sfrecciò fra i vicoli stretti per raggiungere la parte alta del paese. Anche in quella semi oscurità sapeva destreggiarsi passando attraverso la case in pietra e mattoni di fango.

  -Aprite, l'oliveto sta andando a fuoco-, disse una volta fermatosi davanti all'abitazione. Una grande casa  padronale con un alto muro di cinta. Si spostò quindi in direzione del cancello in ferro battuto e ancora una volta chiamò l'attenzione di chi vi dimorava. Una piccola e flebile luce sia accese da una delle camere alte poste proprio davanti all'ingresso, erano le camere delle serve (quelle dei padroni erano nella parte retrostante, quella più silenziosa perchè non davano direttamente sulla strada). La lucetta si spostava di finestra in finestra, poi sparì fino a ricomparire davanti all'ingresso. Era una delle serve, che in un dialetto poco elegante gli chiese cosa avesse da urlare a quell'ora di notte. Dopo avergli spiegato cosa stava accadendo, la giovane, vestita con una leggera tunica di cotone bianco e una mantella per coprire le spalle dall'umido della notte aprì il pesante ingresso e lo fece entrare nella corte interna e assieme andarono in casa, ma solo lei potè entrare nella camera padronale dove dormivano marito e moglie dopo aver bussato quel tanto che bastava per destarli.

-Signore, c'è giù il figlio dei Pais-.

-Cosa vuole?-, rispose l'uomo ancora assonnato-.

-Dice che l'oliveto sta bruciando-. La voce tremò quando disse questo.

-Santo cielo-. 

  Si buttò immediatamente giù dal letto e in pochi istanti l'intera  casa venne svegliata.

-Vai a chiamare gli altri nel frattempo-.

-Subito, signore-.

  I due coniugi finirono di vestirsi velocemente e scesero nel piccolo vestibolo dove trovarono ad attenderlo il giovane. Nei pochi istanti che seguirono scese anche il resto della famiglia. Il maggiore, Gerardo, era arrivato per primo, a seguire gli altri tre fratelli. Clara, Isabella e infine Ruggero.

-Signore, l'oliveto sta bruciando. Mio padre con dei vicini stanno cercando di spegnere il fuoco-.

La famiglia Calia guardò con sgomento il ragazzo immaginando ciò che stava avvenendo nella loro campagne.

-Le bestie sono al sicuro?- fece Michele Calia.

Si, signore loro stanno bene-.

-Dobbiamo andare, padre-. Fece Gerardo prendendo la parola.

-Si certo. Anna, tu e le ragazze state qua. Io con il resto degli uomini ci dirigiamo all'oliveto. Prendiamo i cavalli senza la carrozza, andremo più veloci-. La donna fece un cenno assertivo con la testa e con fare protettivo si avvicinò alle due figlie. Il resto della famiglia, accompagnati da tre servitori presero i cavalli e sellati, si diressero di volata in direzione delle campagne. Alle altre non restò che aspettare in casa, in compagnia del resto delle donne che componevano la servitù, le due serve e la cuoca. L'unico pensiero che avevano tutti era quello di salvare la loro principale fonte di reddito, l'oliveto che di generazione in generazione era passato in eredità alla famiglia dei Calia.

  Piantato dal nonno del marito Michele, col tempo era diventato una delle più grandi piantumazioni di olivo del sud della Sardegna. Saverio Calia stesso era andato di persona nel continente agli inizi dell'800 per cercare le qualità migliori tra la Toscana e le Marche. Portando poi con se sessanta casse con all'interno le giovani piante, in un viaggio in vaporetto durato sei giorni. Sbarcato poi a Cagliari da li aveva affittato una quindicina di carri per portarli poi nei loro possedimenti. Da quel momento la sua famiglia lo aveva tramandato ai figli maggiori. Ora toccava a Michele che a sua volta poi lo avrebbe lasciato a Gerardo dopo che avrebbe compito gli studi di agraria a Roma. Col tempo erano riusciti a ritagliarsi uno spazio importante nella produzione dell'olio, arrivando a possedere un vastissimo terreno con oltre tremila alberi.


  Nel frattempo si erano accese le luci delle case attorno alla loro, poichè svegliati da quel baccano, ed erano accorsi per capire cosa fosse successo. In men che non si dica tante altre persone si mobilitarono per portare aiuto e spegnare l'incendio. Partirono una ventina di uomini. Anna con le figlie restarono a guardare il gruppo dei cavalieri che uscivano per le strade al galoppo. Non riuscendo a tornare a dormire si recarono tutte e tre nel piccolo salottino al piano inferiore e si sedettero sulle poltroncine di vellutino verde e dal legno intagliato. Nessuna osava parlare. Solo Clara non resistette a lungo seduta e si recò in cucina, nel reto della casa, portando con se la lampada a olio. Un silenzio irreale avvolgeva l'abitazione. La madre prese il rosario e in silenzio iniziò a sussurrare raccomandandosi a Santa Barbara e a Sant'Isidoro, protettore dei contadini, nonchè anche patrono di Madrid, sua città di origine per famiglia giacché lei faceva Boil di cognome e i suoi predecessori arrivarono nell'isola quattrocento anni fa al periodo della conquista della Sardegna da parte della Spagna qui avevano portato la loro nobiltà e dote. Alla silenziosa preghiera si unì anche Isabella che aveva acceso una piccola candela ai piedi della madonna in gesso esposta all'ingresso. Poco dopo Clara tornò nel salotto portandosi appresso una delle serve con un vassoio e poggiatolo sul tavolino tra le due poltroncine porse ad ognuna una tazza in ceramica fine.

-Cos'è?-. Chiese la donna sollevando lo sguardo.

-Un po' di Camomilla, madre, aiuterà a distendere i nervi-. Fece Clara. Lei sorrise e sollevata la tazza ne prese un sorso. Così pure fece Isabella.

-Non servirà a tanto, ma non possiamo fare molto adesso. Preghiamo perchè riescano a spegnerlo al più presto-. Disse Anna.

-Signora-.

-Dimmi Severina-. Rivolgendosi alla giovane servetta.

-Vado a chiamare Don Pibiri?, gli chiedo di accendere una cero alla madonna-.

-Non c'è bisogno-. rispose lei con mezzo sorriso, -non scomodiamolo-.

-Va bene-. Passandosi le mani nel grembiule per allisciarlo tornò quindi nel vestibolo della cucina. Li la aspettava Paschedda, la cuoca e la serva più anziana, Teresa, chiamata anche Teresina dal resto della famiglia dei Calia visto che era con loro da tanto tempo. Una donna rotonda e bassa che portava sempre una crocchia tenuta da uno spillone in madre perla.

-Che disgrazia-. Disse Paschedda che vista l'ora iniziò a preparare la collazione per i padroni e qualcosa in più anche per il resto degli uomini di casa che stavano lavorando. 

-Speriamo riescano a salvare le piante-. Le fece Teresa.

Erano da poco passatele cinque e iniziava ad est a sorgere il sole. La notte nera iniziava a farsi rosata. Le tre donne erano ancora in attesa di notizie. Clara non resistendo alla stanchezza si era lasciata andare al sonno e si era addormentata nel divanetto. Finalmente i primi colpi di zoccoli di cavallo si fecero sentire tra i vicoli silenziosi. Entrarono con tanta foga nel cortile interno che per poco il cavallo non inciampò. Era uno dei servitori dei Calia. Era nero inviso e il sudore gli rigava la faccia. Si gettò giù dalla bestia e corse in casa.

-Padrona, padrona. Donna Anna.- Chiamava a gran voce l'uomo. -Signora...- L'uomo si lasciò andare sulla sedia del salottino. La donna accorse immediatamente.

-Signora mia-.

-Cosa succede?, siete riusciti a spegnere il fuoco?-.

-Padrona mia. Gerardo. Una disgrazia è stata. Una folata di vento ha alzato le fiamme e ha investito vostro figlio. Signora padrona-.

-Come sta? oddio, cosa è accaduto...-. Si strinse le mani facendole diventare rosse. Lo sgomento attanagliò tutti in casa.

Nel frattempo giunse Michele Calia circondato da altre due persone. Entrò senza dire nulla. Il volto stravolto testimoniava tutta la  fatica della notte che stava andando via.

-Cosa è successo, Michele-. Gli si fece incontro con il terrore negli occhi. L'uomo la abbracciò forte.

-Amore mio, sii forte adesso-.

-Michele, dimmelo-. Lo implorava guardandolo negli occhi pieni di lacrime.

Quando vide poi entrare anche il prete ella non ebbe più nessun dubbio.

-Morto, è morto.... nooo, Michele, perchè?-. Urlò lei. Quella parola echeggiò per tutta la casa sino alla sue viscere più intime e per le case vicine. Il pianto e il dolore più nero si aggrappò all'anima di tutti i presenti e non li lasciò più. 

Il sole di metà agosto sorgeva in un nuovo giorno e portava tristezza in casa dei Calia. Non c'era nessuna consolazione che potesse servire a lenire il dolore. I funerali vennero celebrati il giorno successivo visto il caldo afoso che schiacciava le campagne nella parrocchiale della Beata Vergine dei Santi Martiri. La piccola chiesa di Serralio era gremita come non mai. Padre Pibiri celebrò una funzione solenne e sobria, omaggiando la solerzia del primogenito dei Calia. Mise in luce il suo essere pronto ad aiutare il prossimo, la sua prontezza nel rendersi utile quando ce ne fu bisogno. Il sindaco per l'occasione dichiarò due giorni di lutto, poichè la morte del giovane aveva sconcertato tutti. Il secolo '800 si sarebbe chiuso nel modo più terribile per i Calia, la morte del loro primo figlio, colui che avrebbe portato avanti la tenuta e portata nel nuovo secolo. Tutto ora era da riscrivere. Tutto era stato messo in discussione.

giovedì 27 luglio 2023

I sette passi del fantasma.

 Come si dice le persone uccidono per sempre due motivi: soldi e amore; pure io ho fatto lo stesso... sta però a voi capire se lo feci per l'una o l'altra ragione. 
   All'epoca dei fatti, stiamo parlando del 1998, la morte dello scrittore Ruben Maritti provocò profondo clamore. Il famoso romanziere da decine di milioni di copie in tutta Europa venne ucciso dal suo segretario personale in un albergo di Torino nel bel mezzo del suo giro di promozione tra librerie e salotti letterari. Ora che sono trascorsi parecchi anni e ho quasi finito di scontare la mia condanna posso mettere su pagina i miei pensieri e qualcuno definirebbe questo caso come un giallo minimo, poiché tra la sua morte e la mia cattura passarono solo 24 ore. Ma quelle 24 ore furono le più deliranti che mi siano capitate.

  Partiamo dall'inizio perchè come ogni storia anche questa ha un principio. Intanto mi presento, è giusto farlo per coloro che sono nati dopo il 1998 o per coloro che assolutamente non sanno chi io sia e cosa feci: Mi chiamo Roberto Ter, ho 49 anni e al momento sto scontando l'arresto per l'uccisione di Ruben Maritti. Reo confesso di aver commesso l'omicidio gettandolo dalla tromba delle scale. Il principio di questa storia nasce alla fine del 1996. Al periodo avevo finito la carriera universitaria, e una volta terminato tale percorso cercai un impiego che non fosse il comune saltimbanco da un lavoro all'altro. Presi carta e penna e iniziai a scrivere la mia lettera di presentazione:
  
   "Gentile / Alla cortese attenzione ... (l'intestazione variava a seconda del destinatario), sono un giovane neo-laureato alla ricerca di un primo impiego. Ho una laurea in Lingue e Letterature straniere con voto finale di 102. Ho una buona padronanza della lingua inglese e tedesco. Mi reputo essere una persona capace di lavoro di gruppo ma anche di riuscire a portare a termine compiti assegnatimi singolarmente. Nella mia carriera universitaria sono stato molto attento e preciso. Se dovesse interessare la mia candidatura per una delle mansioni che Voi ritenete più idonee sarò ben lieto di presentarmi per un colloquio conoscitivo. Allego curriculum.
 Ringrazio per l'attenzione.
 In fede Roberto Ter."
   
  Spedii questa presentazione credo a una ventina di indirizzi.
  Venni contattato però solo da tre, uno di questi era la casa editrice Ridendi. Mi chiamarono un pomeriggio di metà ottobre; le lettere le avevo spedite a giugno. Dall'altra parte del ricevitore interagiva una voce femminile molto cortese che mi disse che erano interessati alla lettera che avevo spedito e che c'era la possibilità di poter fare un colloquio nel giro di un paio di giorni se ero disponibile. Io risposi con altrettanta cortesia che da parte mia c'era la totale disponibilità a presentarmi nel giorno che loro avrebbero indicato.
  La data venne fissata per il 31 dello stesso mese.
  La mattina prefissata quindi mi preparai, ammetto con una certa emozione, ma anche con molto realismo, poichè non mi aspettavo di venir certo preso in considerazione.
  Quindi salii in auto e mi recai all'indirizzo indicatomi. Al mio arrivo rimasi un po' deluso perchè mi aspettavo di essere ricevuto in un bel palazzo moderno tutto vetri e acciaio, invece mi ritrovai a salire le scale di un palazzo storico, bello certamente, tutto decori e finestre timpanate, non che mi dispiacesse, ma avevo tutt'altra idea. 
   Venni fatto entrare da una donna minuta e anonima, mi fece accomodare in un piccolo salottino di ingresso altrettanto anonimo: tre poltroncine, una lampada da terra e l'immancabile pianta di ficus, ma d'altronde era una saletta da aspetto, non un salone da ricevimento. Attesi credo una quindicina di minuti, poi la stessa donna si affacciò da una porta alla mia destra e con un sorriso fece segno di seguirla. Le stetti al fianco senza dire nulla, passando attraverso un corridoio, portandomi sotto braccio il giubbotto. Ci fermammo sulla sinistra e dopo aver bussato, una voce maschile fece segno di entrare. La donna aprì la porta e ringraziandola entrai nella stanza. Fui accolto in un locale totalmente diverso dal quale ero appena arrivato. Un grande stanza luminosa arredata con gusto contemporaneo ma particolarmente ricercato, con qualche tocco kitsch qui e la, ma nel complesso il tutto ben armonizzato. Seduto dietro la scrivania vi era un uomo sulla quarantina. I folti capelli ancora tutti neri, (mi chiesi se si faceva la tinta per averli ancora così scuri), facevano da contrasto a degli occhi celeste quasi ghiaccio, penetranti e attenti. Ma nonostante questa presentazione fu un colloquio molto semplice e a tratti divertente. Mi fece domande sull'università, sulle mie esperienze lavorative. Parlammo di libri, se mi piaceva leggere, che cosa ecc, e poi mi fece scrivere di mio pugno un paio di righe chiedendomi di creare un piccolo racconto, non importava cosa, qualsiasi cosa  anche banale, ma che avesse un inizio, lo svolgimento e una fine.
  Su due piedi rimasi sbalordito, ma feci come chiese. Mi mise a mio agio e mi diede mezz'ora. Passai i primi dieci minuti a guardare il foglio bianco e ruotare lo sguardo su ciò che mi circondava cercando di trovare qualcosa che facesse scattare la molla dell'intuizione. Nel frattempo erano passati quindici minuti. Poi finalmente vidi un piccolo elefante fatto di pasta modellabile poggiato dentro una vetrinetta e mi inventati la storia di un elefantino che di mattina era immobile sopra una mensola, poi la notte si muoveva.
  Ora, al periodo non sapevo chi era esattamente Ruben Maritti. Anzi non sapevo proprio chi fosse. Ma sta di fatto che avevo fatto il mio colloquio proprio con lui. Durò un'ora buona, e non mi accorsi del tempo che trascorse. Era stato molto affabile e cordiale. Al termine ci lasciammo poi con la classica frase, -la ringrazio signor Ter, mi ha fatto piacere conoscerla. La mia segretaria la contatterà qualora prendessimo una decisione in merito-, e con un sorriso mi accompagnò verso la porta dove la stessa donna mi scortò nel percorso inverso verso l'uscita. 
  Non sapevo cosa aspettarmi da quel colloquio. Tra i tre che avevo fatto quello era stato il più particolare. Tornai a casa e in breve tempo accantonai la giornata e mi misi a fare altro. Passarono le settimane e ammetto che speravo che almeno uno dei tre colloqui portasse qualche frutto ma nulla. Poi verso fine novembre, credo il 26, uno squillo del telefono mi fece alzare dal letto e addormentato mi trascinai all'apparecchio cercando di modulare la voce il più sveglia possibile. Riposi. Mi aspettati la voce di mia madre, ma alle otto del mattino difficilmente chiamava... anzi chi mai avrebbe chiamato a quell'ora: - Buongiorno signor Ter, mi scuso per l'ora. Sono Clara Franca, la segretaria del signor Maritti, la sto contattando poichè ci sarebbe la possibilità che lei venga assunto. Il dottore è rimasto interessato dal suo colloquio. Se fosse così gentile da passare questa mattina al medesimo indirizzo potremmo vedere assieme i termini di assunzione-. Io restai bloccato col ricevitore in mano come un ebete a bocca aperta. Biasciaci qualche parola di ringraziamento e non ricordo altro di quella telefonata. Ma sapevo bene che nulla era deciso finchè non avessi firmato il contratto. Mi recai di prima mattina. Ricordo bene il freddo che faceva. Mi diressi all'indirizzo e salii le medesime scale ed entrai nel medesimo studio. Questa volta però l'accoglienza fu meno formale, anzi, la segretaria mi accolse subito con un bel sorriso e senza farmi aspettare mi portò direttamente nella stanza di Maritti. Qua anch'egli mi accolse subito con le braccia parate pronte ad accogliere la mia stretta di mano. Salutai con educazione ricambiando il sorriso e venni scosso dalla stretta energica dell'uomo. Mi fece accomodare questa volta in una poltroncina e lui si mise fronte a me sedendosi in quella opposta. Venne subito al dunque: -Allora signor Ter, mi auguro che la chiamata l'abbia colta in un momento felice.- feci un cenno positivo. -Come le stava accennando Clara, la sua candidatura ci ha interessato particolarmente e se lei è d'accordo sarei interessato a intraprendere un rapporto di lavoro con lei-. Io risposi che certamente ero interessato e chiesi di cosa si trattasse. Lui mi spiegò che il mio nome gli era stato fatto dalla casa editrice Ridendi al quale io avevo inviato la lettera e che poi l'avevano rigirata a lui credendo che potessi fare al caso suo. Mi disse che aveva già visto altre persone ma io rispondevo più a ciò che stava cercando. Io ascoltavo senza avere ancora chiaro cosa stesse cercando di dirmi. 
  Mi disse che con la Ridendi aveva firmato un contratto editoriale per tre anni e che in quei tre anni lui avrebbe dovuto pubblicare per loro una ventina di romanzi. -Vedi Roberto, ti do del tu, mi perdonerai-. -Scrivere romanzi è un mestiere bellissimo, si usa la fantasia per creare storie e situazioni, si cerca di trovare e creare personaggi verosimili alla realtà e la realtà spesse volte è l'ispirazione per portare a termine un lavoro come il mio... ma come in tutti i lavori c'è il lato meno piacevole. Non parlo della fatica di scrivere, quella passa velocemente, è la mancanza di tempo-. Io ascoltavo e annuivo, ma continuavo a non capire.
  -Quello che sto cercando, e la Ridendi è stata lei stessa a consigliarmi bada bene, è una persona capace di portare avanti i miei racconti. In inglese lo chiamano il ghost writer, lo scrittore fantasma-.       Era serissimo mentre spiegava ciò. Continuò dicendo che chi scrive tanto, specialmente quando arriva a certi livelli di pubblicazione con le grandi case editrici, necessita per forza di una o addirittura più figure che sopperiscano alla mancanza di tempo che lo scrittore della quarta di copertina si trova ad avere, anzi a non avere, così per riuscire ad adempiere al contratto deve giocoforza rivolgersi ad altre persone. -Come pensi che facciano i grandi romanzieri di oggi a sfornare in continuazione pagine su pagine addirittura due volte all'anno? Va bene la fantasia ma ad un certo punto questa può bloccarsi ed è allora che entrano in gioco figure come la tua Roberto. Dal nostro incontro ho capito che sei una persona che fa al caso mio. Non a caso ti chiesi di scrivere quel breve testo. Nella sua semplicità ho trovato comunque una profondità lessicale non comune. Hai saputo attirare l'attenzione anche in un breve testo-. -Quindi io dovrei in sostanza scrivere al posto suo, esatto?- chiesi. -Il più delle volte. Io ti darò bozze, le idee, tu le svilupperai, io poi penserò a comporre il testo finale... la vedo perplessa-, era tornato al lei. -No no... cioè si... non so che dire sinceramente-, l'uomo restò un attimo in silenzio, -quello che deve fare non è molto diverso da quello che facevano le botteghe artistiche del Rinascimento; il capo bottega, il maestro, si avvaleva di allievi che facevano le parti meno pregiate mentre lui si occupava delle scene principali. Senti, lo stipendio è buono, certo non si guadagnano milioni di lire, ma sappi che avrai le tue soddisfazioni-, usò nuovamente il tu. -Non devi darmi una risposta adesso, ok?-, -pensaci. Tra qualche giorno ci risentiamo ok?-. Lo ringraziai e andai via. 
   Per tutta la mattina e il resto del fine settimana continuò a rigirarmi nella mente quella conversazione. Non sapevo se essere arrabbiato con lui che per un certo verso sembrava prendesse per i fondelli i lettori, o magari stupito perchè non mi aspettavo questo genere di richiesta per una prestazione lavorativa. Non ne avevo mai sentito parlare, ghost writer, credo in pochi ne fossero a conoscenza e in effetti ora mi spiegavo la grande proliferazione scrittoria di certi autori che ogni due o tre mesi davano alle stampe nuovi romanzi. 
Accettare o no? sarei stato all'altezza? che aspettative aveva verso di me? Certo, il sapere di avere uno stipendio fisso per tre anni mi faceva comodo e sarebbe stato un interessante punto nel curriculum, ma quel che era strano era sapere che quello che lui avrebbe scritto, meglio dire pubblicato sarebbe passato prima tra le mie mani, in sostanza io avrei creato il suo romanzo. 

   La mattina del lunedì ritelefonai alla segretaria e confermai la mia intenzione ad accettare l'impiego propostomi. Così una settimana dopo, presi gli accordi del caso, mi ritrovai in una amena località di montagna con altre due persone, che senza sapere esattamente cosa sarebbe successo aspettavamo Maritti. La casa nel quale alloggiavamo era una piccola abitazione rurale ben fornita di comodità essenziali. Un ampio salotto con poltrone e tavolini e annessa biblioteca zeppa di infiniti volumi e enciclopedie, una camera per ognuno degli ospiti, più una cucina. Tutt'attorno il silenzio delle bosco e la freschezza vivificante dell'aria che solo la montagna riesce a dare. Luogo che ancora oggi reputo uno dei più incantevoli mai visti. 
  Poco prima delle undici, finalmente si presentò e con lui una donna, ma non la segretaria, ci venne presentata come sua moglie. Era una bella donna sulla cinquantina, forse era più grande di lui. Capelli castani e una corporatura un pò tozza. 
  Portava con se una cartella in pelle marrone. Dopo averci salutato ed essersi accomodato, aprì la cartella ed estrasse fuori tre plichi di una decina di pagine ciascuno. Senza dire molte parole ci informò che quelle erano le bozze per i suoi tre romanzi. Erano le trame con i fatti salienti. Noi avremmo dovuto svilupparle e dopo di che lui avrebbe rimesso mano a ciò che avremmo scritto noi. I titoli presenti ad inizio pagina erano provvisori ci disse e sarebbero spettati all'editore la scelta finale. Io presi la risma dal titolo "Strane lune per essere marzo". Sfogliai le pagine e lessi a grandi linee le prime righe. 
Ci disse che di li a tre mesi i romanzi sarebbero dovuti essere pronti o almeno quasi pronti. E così iniziò la mia avventura. Tre mesi in montagna a scrivere, inventare, cancellare, riscrivere. I colleghi si dimostrarono tutti molto cortesi e instaurammo un buon rapporto tanto da permettere l'uno con l'altro di mettere mano ai rispettivi scritti, previo permesso reciproco si intende. Ogni tanto Ruben, lo chiamo ancora per nome quando parlo di lui, ci chiamava per sapere se stesse andando tutto bene o se ci servisse qualche delucidazione. 
   Tre mesi passarono e gli scritti furono pronti. Passò a ritirarli e ci congedò. 
   Dopo qualche giorno venni chiamato a casa direttamente da Ruben che mi chiese di passare nel suo ufficio. Così feci. Si voleva complimentare con me per la storia che ero riuscito a creare con il  materiale che mi aveva dato e si complimentò anche per dei risvolti a cui lui non aveva pensato. Trascorse il tempo e il libro da me scritto venne pubblicato per primo mantenendo lo stesso titolo. Il nome di Ruben Maritti finalmente iniziava ad essere conosciuto. Presenziava un po' ovunque per la pubblicazione del suo grande romanzo Strane lune per essere marzo, una storia vagamente romantica e accattivante di un uomo che per sbarcare il lunario si era inventato una serie di lavori e che alla fine incontra una donna nel mese di marzo. Gli altri due romanzi, mi disse, sarebbero stati pubblicati nei mesi successivi e di tutti era pienamente soddisfatto. 

   Col tempo diventammo molto amici, ci sentivamo anche fuori dal contesto lavorativo. Mi parlava delle prossime trame che aveva in mente, mi esponeva i suoi dubbi. Spesse volte era capitato che venissi invitato a casa loro per cena. Nasceva complicità. Una complicità molto intima che non mi aspettai da parte sua quando una sera a cena fuori io e lui mi disse che si era invaghito di me. Io per poco trasalì davanti al piatto. 
  Non nascosi mai la mia omosessualità perchè non avevo nulla da nascondere nella mia vita, parlavo serenamente dei miei amori, non che fossi un Don Giovanni intendiamoci, ma non immaginavo minimamente che lui potesse provare attrazione per me. Ora col senno di poi certi tasselli tornavano al loro posto. Facemmo un lungo discorso su quanto lui non stesse più bene con la moglie (non avevano avuto figli), del fatto che comunque le era stata fedele da che erano sposati ma che aveva trattenuto a sua natura da bisessuale di cui lei non era a conoscenza. Io ero stata la molla che aveva fatto scattare di nuovo il desiderio. Non era follemente innamorato di me, disse, e un po' sinceramente la cosa mi consolò perchè non sapevo che fare, non mi era mai interessato da quel punto di vista, era semplicemente la persona con il quale lavoravo e andavo d'accordo. Impiegò parecchi mesi prima di dirmi tutto ciò, forse quasi un anno addirittura. Io non risposi nulla perchè non sapevo che risposta potevo dare.
  La cosa morì li.
  Tuttavia è col passare del tempo che le piccole attenzioni che aveva verso di me iniziavano a farmi piacere, inizialmente mi trovavo in imbarazzo, ma piani piano iniziai a sentirmi speciale, per farla breve diventammo degli amanti. Ovviamente queste attenzioni erano riservate ai soli momenti quando ci si trovava io e lui. Agli occhi degli altri ero un dipendente. Mi venivano consegnate le bozze, io le sviluppavo e lui le portava avanti, così per due anni. Lui guadagnava e tanto, io un po' di meno, lui poteva permettersi tanti svaghi, una vita più comoda della mia, io andavo ancora in giro con la mia modesta Punto blu acqua. Se mi chiedete quando tutto questo cambiò e mi stufai della situazione non saprei dirlo. Ma forse avevo preso consapevolezza che a scrivere ero diventato molto più bravi di lui, perchè diciamocelo tranquillamente, le sue trame erano penose, era mio il merito se aveva avuto successo. Lo seguivo praticamente ovunque, ero il suo braccio destro oltre che quello che si portava a letto quando era in giro. Povera Isabella, se avesse saputo. E invece Isabella seppe. Capì che Ruben la tradiva, aveva percepito o segnali, ma non aveva capito che lo faceva con un uomo. Che scioc fu. Gli disse le peggiori cose, questo riferito da lui ovviamente. Era furibonda con entrambi. La carriera di Ruben Maritti stava per essere squassato da un vento che avrebbe gettato scandalo per i prossimi dieci anni. 
  I due vivevano in case separate, ovviamente potevano permetterselo. Io e lui non ci vedemmo più se non per questioni di lavoro. Mi faceva recapitare a casa i fogli e io scrivevo, poi glieli rispedivo. Così per un paio di mesi, saranno stati quattro. 


   Poi una sera tardi, ricordo che era primavera e pioveva, bussarono alla mia porta. Era Isabella. Stupito la feci entrare. Stavo per sedere e cenare. Era sconvolta e si vedeva che aveva pianto. Non potevo mandarla via. Pianse, mi chiese, o forse a se stessa, dove avesse sbagliato. Che non aveva mai immaginato lui la avrebbe tradita con un uomo. La lasciavo parlare e piangere. Le porsi dell'acqua e un fazzoletto, che scena patetica da parte mia lo so, ma non sapevo che altro fare. Le spiegai che era stato un errore suo (di Ruben intendo), quanto mio. Ma inaspettatamente, nonostante tutto quello che mi disse tempo addietro, mi disse che non era arrabbiata con me, o per lo meno, non tanto quanto lo era con il marito. Che capiva la mia condizione, un subalterno, giovane ventenne che si era lasciato abbagliare dal mondo della scrittura e dal fascino del marito. Questa sua considerazione nei miei confronti mi stranì un attimo, ma lasciai perdere. Anche se poi ammise che pure lei aveva letto i romanzi che dal marito scritti da me e li trovava meravigliosi e che io più di lui meritavo gli allori al posto suo. Continuò a incensarmi per parecchio e che era arrivata alla conclusione che Ruben doveva pagare quello che aveva fatto, avrebbe fatto scoppiare lo scandalo, lo avrebbe distrutto col divorzio. Certo, lei era ricca di famiglia, e non aveva bisogno dei soldi, quello che voleva era vederlo rovinato. 
 -Deve pagarla quel maledetto-. Le dissi di mantenere la calma e che stava perdendo il senso con la realtà, ma lei insisteva, continuò a dire che io ero migliore di lui e che lei avrebbe saputo come aiutarmi a diventare famoso perchè lo meritavo: -e che faccio, lo uccidiamo?- dissi in tono ironico ma al contempo serio per farle capire che era meglio che si calmasse. Alzò lo sguardo: -perchè no... dovrà essere un incidente ovviamente-. Per un attimo ebbi la tentazione di buttarla fuori di casa e dire addio a tutto, marito compreso. Poi iniziò a intortarmi con parole persuasive, melliflue. Mi mise davanti la sua cospicua disponibilità economica per farmi diventare famoso. -   Questo è l'unico modo che hai per emergere. Lo sai perfettamente, lui non ti lascerà mai andare via, perchè teme la tua bravura, me lo ha detto più di una volta-. Lentamente iniziò ad insinuarsi in me il verme maledetto. Sapevo che valevo, quasi sicuramente più di lui.


     Torino, dicembre 1998. Hotel Grassi.

   La presentazione del nuovo libro di Ruben Maritti sarebbe avvenuta il pomeriggio successivo nella libreria del Corso. Si attendevano tante persone. Maritti era ormai uno scrittore pubblicato in tante lingue e in vari paesi. Ogni suo romanzo era un successo editoriale. 
Alloggiava al terzo piano nella stanza 12. Dopo aver cenato nel ristorante dell'albergo si trattenne qualche istante al bar per un aperitivo finale con uno degli ospiti che lo aveva riconosciuto. Dopo di che prese la via per tornare in camera sua. 
   La notte veniva funestata da un tremendo temporale. Poco prima che potesse chiamare l'ascensore un forte tuono si impose e fece mancare la corrente in tutta la struttura. Dopo un attimo di smarrimento iniziale constatò che non c'era altra soluzione che andare a piedi. Fortunatamente le luci di emergenza segnavano il cammino per i vari piani. Piano uno... piano due... piano tre... fece per poggiare il piede sull'ultimo gradino quando senza che se ne avvide, si sentì afferrare per le spalle e con uno strattone venne praticamente lanciato giù per le scale. L'uomo non ebbe la prontezza nemmeno di gridare. Percepì solo una figura nera che gli si parò davanti e poi il vuoto sotto di lui. Sbatté la testa sul corrimano. Al buio cercò di afferrare i girali inferro battuto della ringhiera ma con il solo risultato che la mano gli si incastrò li in mezzo spezzandogliela in vari punti. Continuò a rotolare per la lunga gradinata dell'albergo con un suono sordo e pesante. Caduta che terminò nella seconda rampa. Restò li, fermo. Il sangue che colava di gradino in gradino come fosse stato un serpente silenzioso e insidioso.
   La luce tornò e l'albergo riprese a vivere. 
Finalmente arrivò l'urlo che ci si aspetta in questo genere di situazioni. Fu talmente forte che perfino in cucina se ne accorsero. Ruben Maritti era morto... cadendo dalla scale.


        Torino, dicembre 1998. Hotel Grassi.

   L'uomo aveva preso alloggio nella camera 14 attorno alle quindici e dopo di che non si era più mosso da li dentro. Aveva portato con se una piccola valigia. Alla momento della registrazione aveva presentato il documento ben consapevole del fatto che nessuno sapeva chi fosse, per loro lui era un fantasma. Restò chiuso nella sua stanza sino a sera. Si era portato qualcosa da mangiare. In continuazione passava dalla finestra che dava sulla strada, allo spioncino per controllare il corridoio. Quando finalmente lo vide arrivare il cuore accelerò. Impaziente scrutò tutti i movimenti. Una volta che lo vide entrare fece un conto a mente del tempo che avrebbe impiegato per la registrazione (mise nel conto anche la chiacchierata che una persona nota come lui doveva quasi sicuramente intrattenere" e poi andò nuovamente verso la porta. Se fosse andato come stabilito sarebbe dovuto uscire dall'ascensore tra venti minuti e dirigersi nella camera a fianco alla sua. Di minuti ne trascorsero venticinque e l'uomo una volta uscito dall'elevatore si portò proprio davanti alla camera. Una volta rischiusa la porta alle sue spalle lo senti armeggiare e muoversi al suo interno. Parlottava. Non riusciva a capire cosa stesse dicendo. Improvvisamente sentì bussare alla porta, si diresse a controllare chi stesse bussando nella camera di Maritti e dallo spioncino vide che era un uomo, forse su trenta, non lo aveva mai visto, non era uno dei colleghi di scrittura. Ruben aprì la porta e con un espressione di felicità lo fece entrare. Ancora una volta sentì del chiacchiericcio, e questa volta riuscì a capire "...felice che sei qua...". Poi il silenzio. Dopo un po' iniziò a percepire dei suoni particolari, capì essere suoni di effusioni intime. L'uomo in ascolto inizialmente ne fu disgustato ma poi iniziò a montare in lui rabbia. Smise di ascoltare, ma sapeva che Ruben era li con un altro. Lo maledisse. 
   Dopo più di un ora buona lo sconosciuto andò via, senti la porta della camera chiudersi. Aspettò davanti alla finestra e lo vide uscire dall'albergo con una valigia in mano. Quella valigia la conosceva molto bene, era quella che usava per portare le bozze dei nuovi romanzi da far scrivere. Ora si piegava il fatto perchè non stesse più scrivendo per lui.
   Lo scrittore verso le diciotto uscì dall'albergo e sparì all'interno di una macchina, si stava recando sicuramente alla presentazione del libro. L'indomani pomeriggio ne avrebbe dovuta tenere un'altra. Di solito erano tre. Passarono le ore. Arrivò l'ora di cena e Maritti, sempre tenuto d'occhio attraverso la finestra, tornò in albergo. L'uomo allora si avvicinò alla valigia e la aprì. Era arrivato il momento di prepararsi. Estrasse degli indumenti di color nero e li indossò, cambiò perfino le scarpe, anch'esse nere. Da quel momento in poi non restava altro che aspettare. Aveva pensato a tutto. Una volta avvicinatosi alla porta della camera, lui sarebbe uscito dalla sua stanza, avrebbe spento la luce del corridoio e nel buio totale avrebbe agito.
   Verso le ventuno e quindici aveva iniziato a piovere e poco dopo la pioggia si era trasformata in temporale. Per tutta la sera aveva fatto avanti e in dietro spiando dall'occhio magico o socchiudendo la porta. Lo stava aspettando come l'alligatore aspetta l'antilope al fiume. Bastavano pochi secondi. 
Improvvisamente mancò la luce. Esclamò un espressione poco elegante, ma ripensandoci ciò andava pienamente a suo vantaggio. Tuttavia dovette aprire leggermente la porta perchè la buio lo spioncino non dava la possibilità di percepire ciò che accadeva. Attese. Poi finalmente eccolo, lo riconobbe immediatamente anche nella penombra. Lo vide arrivare. L'adrenalina schizzò allo stelle. Si sentì potente. Uscì velocemente dalla sua stanza. Aveva fatto il conto, dalla sua camera all'inizio della scala erano sette passi. Se lo ritrovò davanti in pochi attimi. L'alligatore era uscito dall'acqua. Lo afferrò con decisione e con tutta la forza che riuscì a rilasciare lo gettò di schiena nelle scale con un volo di tre o quattro gradini. Lo sentì trasalire e battere per terra. Percepì pure qualche osso che si spezzava. Lo guardò cadere e rotolare. Al buio percepiva solo una sagoma informe che rotolava e rantolava a ogni colpo. Ma non poteva stare li per molto. Tornò velocemente nella sua camera. Si cambiò al buio, operazione ora più complicata. Dopo di che era sceso dalle stesse scale e andò via velocemente. Lo guardò per un istante e poi scappò. Nessuno lo aveva visto, nessuno sapeva chi era, i documenti che avevo dato erano falsi e aveva pagato la mattina stesso. Era un fantasma.
  
  
   2008. Penitenziario di Cèrravi.

   Aveva ragione Isabella. Venni abbagliato dal potere e dalla fama a tutti i costi. Fu lei a procurarmi i documenti. Fu lei a dirmi propormi quell'albergo poichè sapeva che le luci non aveva spegnimento automatico ma manuale e che si accendevano in modo indipendente per ogni piano quindi potevo agire in pochi attimi. Ma quella mancanza di corrente fu un la mia manna da cielo. Mi disse che una volta fatto fuori il marito lei mi avrebbe preso tutto e avrebbe aiutato me a diventare famoso, tanto quanto Ruben stesso. Era il delitto perfetto. Scappai dall'albergo e viaggiai tutta la notte in autostrada e andai immediatamente a casa di Isabella. Ma quando arrivai non mi aprì nessuno. Le luci di casa erano spente. Sentii abbaiare solo il cane nel giardino. La sua macchina però era ancora li. Il panico iniziò a serpeggiare nella mia anima. Mi chiesi dove fosse andata... poi il dubbio... mi aveva incastrato? Non capivo più cosa dovessi fare? Il castello che fino a quel momento era solido e indistruttibile improvvisamente iniziò a sgretolarsi. Mi sentivo solo. Pensai di ammazzarmi impiccandomi. Andai a casa mia. Mi richiusi dentro e da quel momento li non ricordo più cosa accadde. So che la mattina seguente mi ritrovai in aperta campagna. Come risvegliato da un sogno. La macchina ammaccata. Controllai se vi era del sangue, altri morti sulla coscienza non ne volevo. Accesi l'autoradio e ad ogni stazione che cambiavo non facevano altro che parlare della morte di Ruben Maritti. Poi sentii una frase che immediatamente mi tranquillizzò, si sospettava per una brutta caduta accidentale dalle scale. Accidentale, ecco il mio salva condotto, ero riuscito a farlo sembrare un incidente. Improvvisamente tronò un certo senso di ottimismo.
  Potevo ancora essere uno scrittore famoso.
  Mi misi nuovamente in auto, e andai a casa di Isabella. Dovevo andarci perchè non dovevo creare nessun tipo di sospetto, e anche perchè li conoscevo entrambi e sarebbe parso strano se non fossi andato. Cercai di mantenere il sangue freddo. Mi si presentò una scena tremendamente triste. Uno stuolo di persone, che avvolgevano con il loro affetto la donna. Appena mi vide mi strinse e pianse come se la sua anima volesse lasciare il corpo. Non ci dicemmo nulla, ma ci lasciammo andare entrambi ad un pianto forse più liberatorio che di tristezza.
  A questo punto vi starete chiedendo come è che mi hanno condannato a dieci anni. Il tutto è di una semplicità disarmante. Quasi ventiquattro ore mi ritrovai i carabinieri a casa, che mi portarono in caserma come persona informata sui fatti. Uno dei camerieri dell'albergo mi riconobbe poi chè spesse volte mi aveva visto alla presentazioni dei suoi libri. Pensando che facessi parte anche io del suo entourage disse di avermi riconosciuto, e così controllando il numero della stanza abbinato al nome segnato videro che non corrispondeva e fu chiaro che qualcosa non tornava. La mia casa venne perquisita, venne portato via tutto quello che poteva essere utile. Macchina compresa. L'interrogatorio fu estenuante. In principio pensai di negare, perchè non avevano prove, certo c'era il mio documento falso ma non era una prova che io avessi ucciso Ruben, era solo un indizio che io mi trovavo li. Poi non so perchè, mi sciolsi. Forse capii che non sarei mai diventato famoso come Ruben. Allora ebbi l'idea di trascinare con me anche Isabella dicendo che era stata lei ad architettare tutto. Raccontai che avevo avuto una relazione segreta con il marito e che lei una volta scoperta voleva vendicarsi uccidendolo facendolo fare a me. 
  Il processo e le accuse si seguirono per tre anni. I talk show sviscerarono la scandalosa relazione tra me e Ruben, e l'opinione pubblica ovviamente si schierò a favore della donna. Io venni condannato a 10 anni per l'omicidio di Ruben ed essendo reo confesso potei beneficiare di una sconto sulla pena.
Isabella ne uscì pulita anche perchè non c'erano prove che lei avesse detto che voleva vedere il marito morto, era la mia parola contro la sua e del fatto che lei mi diede il documento falso, altrettanto non venne trovata nessuna prova a suo carico. Insomma, incastrato in piano.  
   Ora finalmente ho pagato per quello che ho fatto. Devo riprendere in mano la mia vita. In questi anni la passione per la scrittura non mi ha minimamente abbandonato, ho scritto tanto. Ora sono pronto a scrivere una nuova pagina. 
   Questa nuova vita parlerà di come ho deciso di farla pagare a Isabella Festighe. Perchè nel frattempo lei si è risposata, ha ereditato i soldi del marito e ha aperto una sua casa editrice che mi ha contattato per lavorare con loro.

mercoledì 5 luglio 2023

Gisella Orrù: un caso ancora aperto (nonostante tutto)

Parliamo di un omicidio, parliamo della morte di una giovane ragazza (perché definirla giovane donna sarebbe fuorviante). Questa volta però non è un racconto inventato, non è una sceneggiatura da serie tv. 

Un caso di cronaca nera che a suo tempo fece molto clamore, ma che col tempo è passato nel dimenticatoio (sfortunatamente?). La morte di #GisellaOrrù, uccisa e gettata in un pozzo nelle campagne di Carbonia la notte del 18 giugno del 1989 a soli 16 anni. Oggi lo si sarebbe definito "femminicidio", ma questa storia va oltre quel termine, va oltre una statistica da telegiornale o un paio di scarpe rosse. Qui si intrecciano droga, omertà, prostituzione e clan di malaffare provenienti oltre l'isola. Tutto si intreccia ma il bandolo non ha fine. I colpevoli furono tanti e nessuno. Perché come spesso succede la verità giudiziaria potrebbe non coincidere con la verità dei fatti realmente accaduti. 






  Gisella bella e con la testa sulle spalle nonostante una famiglia assente (viveva con la nonna) riuscì a crescere con valori saldi ma che per sua sfortuna si fidò delle persone sbagliate (a voi decidere chi). Trovò la morte dopo un rapporto non voluto. Una storia che mise in luce un sottoterra inaspettato di una città lontana dalle metropoli come appunto Carbonia. 
Molto lo definiranno la Twin Peaks sarda e per molti aspetti i fatti collimano... ma questa storia è accaduta per davvero.

sabato 29 aprile 2023

Dead Ringers; Inseparabili. Quando la gravidanza è scorretta.



Crudelmente raffinato e visivo. Avete presente Nip&Tuk e le scene particolarmente crude? Ecco in questa serie si parla di fecondazione ma in modo molto destabilizzante e diretto. Non adatto a coloro che vedono il concepimento come un miracolo femminile da famiglia perfetta perché qua si parla di soldi, fecondazione in tutti i modi, assistita, naturale e di multinazionali senza scrupoli. 
Due gemelle medico con caratteri diversi e dedite alla fecondazione tra idealismo di aiuto per le donne che non possono aver figli e la necessità di trovare finanziamenti per il loro centro nascita all'avanguardia si troveranno davanti a scelte etiche e morali da superare.
 Rachel Weisz qua è in uno stato di grazia recitativa inarrivabile. Serie tv superiore a tantissime "politicamente corrette" che vanno ormai di moda per accontentare le varie aspettative del pubblico. Ecco, qua non esiste la correttezza. DA GUARDARE.

lunedì 23 gennaio 2023

La stanza degli ospiti.

Una stanza presa in affitto in un grande ed elegante palazzo di Londra, un messaggio misterioso e inquietante che compare improvvisamente. Quale mistero nascondono i due proprietari? Cosa è successo in quella stanza? O è solo la fantasia di una donna che avendo tentato il suicidio da bambina non è più in grado di gestire la sua vita da adulta? La Stanza Degli Ospiti di Dreda Say Mitchell promette suspense e mantiene tale promessa dall'inizio alla fine. Era da molto che non leggevo un domestic thriller così avvincente. Certo, si dilunga un po' in certe parti superflue ma tiene incollati sino al finale che lascia di pietra.

mercoledì 28 dicembre 2022

Susan a Faccia in giù nella neve

Per lungo tempo è stata una delle scrittrici thriller più apprezzate con numerose vendite, sto parlando di Carol O'Connel.  
Susan a faccia in giù nella neve è stato uno dei suoi romanzi meglio riusciti per la trama che è riuscita a mettere in piedi, per le ambientazioni cupe e claustrofobiche e per un finale che lascia spiazzati.  
 
Un conto alla rovescia per ritrovare due bambine rapite in circostanze che ricalcano una vecchia vicenda di cronaca accaduta al protagonista. Storia che a mio avviso si potrebbe tranquillamente trasporre sul grande schermo vista l'assenza da decenni di thriller polizieschi al cinema (fa eccezione Carrisi). Super consigliato per chi è appassionato del classico thriller con ambientazioni grigie e fredde.


martedì 27 dicembre 2022

Il silenzio

  Si svegliò improvvisamente avendo la sensazione di aver sentito il rumore di qualcosa di pesante che cadeva. Non capendo se avesse avuto un sogno o se il rumore fosse reale accese la lampada del comodino e scrutò la stanza. Mosse lo sguardo a destra e a sinistra e non vedendo nulla che potesse essere fuori posto spense la luce. Pensò fosse qualcosa che era caduto nella stanza attigua alla sua. Nel giro di pochi secondi fu nuovamente abbracciato dal tiepido torpore delle coperte che lo fecero ricadere nel sonno.
  
  Era arrivato quella mattina stessa all'albergo e aveva preso possesso della camera numero 78. Una stanza comune, arredata con mobili di media qualità, senza troppe pretese. Ma d'altronde aveva scelto appositamente un hotel che non fosse troppo pretenzioso giacché doveva soggiornarci giusto il tempo della trasferta e non certo per farci una vacanza. L'edificio molto anonimo dalle pareti gialline svettava all'interno di una piazza che restava defilata rispetto alla strada che a dirla tutta non era mai particolarmente trafficata. Dopo la realizzazione della nuova viabilità aveva perso un po' la sua centralità a favore di strutture ricettive più accattivanti e moderne. Ma ciò significava spendere più soldi e visto che lui doveva stare solo per motivi di lavoro decise che quello era il luogo ideale, e poi sapeva bene che la compagnia per il quale lavorava non avrebbe pagato per un albergo di più alto livello, o per lo meno non avrebbe pagato un albergo più costoso per lui visto che era un semplice dipendente, altra questione sarebbe stata se fosse stato uno dei dirigenti o anche un capo reparto.
  Quindi quella sistemazione era più che adeguata alle esigenze della ditta. Doveva esserlo per forza.
  
  Fu però verso le tre di notte che nuovamente il rumore di qualcosa che cadeva lo svegliò. Questa volta però fu seguito anche da un colpo che venne dato alla sua porta. Due colpi ben distinti e fugaci che lo fecero sobbalzare. Aprì gli occhi ma questa volta non accese la luce, restò al buio ad ascoltare, si sa che stando al buio l'udito acquista maggior finezza. Si sforzava di ascoltare ma non sentiva altri rumori. A dirla tutta non sentiva nessun rumore nemmeno da fuori. Il fatto che l'albergo fosse defilato non giustificava il totale silenzio che sembrava essere calato improvvisamente. Decise allora di accendere la lampada e andare a vedere fuori dalla finestra. Calzò le morbide ciabatte e si spostò verso la finestra. Scansò le tende facendole scorrere sui bastoni in metallo, sollevò la serranda e ciò che si parò davanti a lui lo lasciò senza fiato. Il nero più totale. Non c'era più la strada, ne macchina o lampioni, solo... il nulla, un nulla sul quale scorreva una nebbia caliginosa fin dove poteva scorgere. Aprì la finestra e si sporse quel tanto che bastava per evitare di cadere, chi sa dove poi. Silenzio. Totale silenzio. Non un solo suono arrivava. Si aspettava di sentire il freddo della notte, qualche spiffero di vento. Niente. Tutto statico e immobile, eccezion fatta par quella nebbia che si muoveva lenta.
  Guardò in basso. Sembrava che il palazzo semplicemente fluttuasse in quel buio. Non vedeva il marciapiede o altro che ricordasse di trovarsi in una città. Provò allora a urlare, ad emettere un suono, ma il suo "ehi!" si spense poco dopo, non andò oltre pochi secondi. Poi svanì in quel nulla come assorbito. Non c'era eco.
  Provò a battere le mani e pure questo suono si smorzò semplicemente svanendo. Tornò in camera, prese il telefono e compose il numero del ricevimento. Aspettò. Non squillava e non arrivava nessun suono di attesa.
  Riattaccò. Camminò un po' spazientito e irritato e si portò al centro della camera mettendo le mani nei fianchi. La luce dalla lampada poggiata sul comodino ogni tanto tremolava facendo vibrare le ombre che si proiettavano sui muri. Si avvicinò alla porta e ciabattando fece scattare la serratura. Si sporse con la testa nel corridoio muovendola nei due lati. Silenzio anche li. Le luci gialle delle lampade segnavano il passaggio verso le scale. Tutte le porte erano serrate. Nessuno sembrava essersi accorto di quello che stava succedendo. Pensò si trattasse di un sogno talmente era assurda la situazione ma quando fece la prova ovvero darsi un pizzico sulla faccia il dolore fu talmente intenso da non lasciare dubbi, era sveglio. Restò sul lusco della camera per parecchi minuti decidendo se andare o rimanere li. Tornò dentro, ma lasciò la porta aperta. Prese la poltroncina in velluto verde e la portò davanti alla porta e si sedette: restò a fissare l'ingresso aperto. Le luci improvvisamente parvero abbassarsi di intensità facendo diventare più scuro l'ambiente, ma era forse solo la sua immaginazione. Strinse le dita sui braccioli. Si alzò e ancora una volta fece per uscire ma ci ripensò. Iniziava a innervosirsi. Possibile che nessuno si accorgesse di quello che era successo... si ma, esattamente cosa era successo? Non sapeva spiegarlo neanche lui. Andò verso il mini bar e aprì una bottiglia d'acqua (si domandò se qualcuno poi gliela avrebbe addebitata). Di li si accorse del cellulare poggiato e lo prese.
  Accese lo schermo e lo mise nella tasca del pigiama. 
  Quel sorso parve avergli dato un po' di spirito di intraprendenza. Avrebbe potuto bere un po' di alcol, ma preferì restare il più lucido che poteva. Si avvicinò nuovamente allo stipite e restò li immobile. Pur nell'assurdità della situazione, la sua camera sembrava essere il luogo più sicuro, o almeno lo sperava.
  Ascoltò nuovamente e ancora un volta non un suono sembrava indicargli la presenza di qualcuno. Senza pensarci troppo oltrepassò la soglia con un passo deciso. 
  Era come fare un salto nel vuoto. Quell'unico semplice passo fuori dalla stanza lo fece sentire estremamente vulnerabile. Il cuore per un attimo ebbe un sussulto. Un passo oltre la porta lo aveva fatto, ora doveva farne altri e capire cosa stava succedendo. Da nessuna direzione arrivava qualche indicazione o un qualcosa che lo spingesse ad andare verso una parte piuttosto che l'altra. Così si affidò alla sorte, visto che l'intuito sembrava essere totalmente inutile. Si incamminò alla sua sinistra, verso le scale, ma poi tornò velocemente in dietro. Rientrò in camera e presa una delle due scarpe la poggiò nel montante, se la porta si fosse mai chiusa avrebbe trovato un ostacolo e sarebbe rimasta aperta e sarebbe potuto rientrare in caso si fosse trovato in un qualche pericolo... forse.
  Dopo di che tornò nuovamente sui suoi passi e riprese il percorso. Il silenzio regnava sovrano. Accostò l'orecchio ad una porta per capire se sentiva qualche suono ma come c'era da aspettarsi nessun rumore dall'interno e pure quella era la stessa stanza dal quale sentì provenire il rumore all'inizio. Guardò nuovamente la sua camera ed ebbe l'istinto di tornare all'interno, ma poi si convinse che se fino a quel momento non c'era stato nessun pericolo concreto poteva continuare ad andare. Non sapeva dove esattamente, ma doveva. 
  Si chiese se fosse una buona idea prendere l'ascensore per scendere al piano inferiore, ma preferì usare le scale.
  Scese gradino dopo gradino. Tutto l'albergo sembrava improvvisamente scomparso. Solo lui si aggirava come uno spettro in un luogo che di per se era già spettrale. Passò al piano successivo e ancora una volta avvicinò l'orecchio ad una camera, e pure li nessun rumore. Si accostò alla finestra li vicino e il paesaggio, se così si poteva definire, era il medesimo che aveva visto da camera sua, il nero più profondo e la debole nebbia che ondeggiava.
  Piano dopo piano arrivò in silenzio al piano terra. Si fermò prima dell'ultimo gradino e guardò l'atrio.
  Il vuoto era desolante. Le luci erano accese e davano un senso ancora più inquietante a quell'assenza.
  Il banco dell'ingresso anch'esso vuoto sembrava che non avesse mai adempiuto al suo compito di ricezione degli ospiti. Penne, computer e volantini erano al loro posto, sistemati come per una foto da pubblicare in una qualche rivista. Le poltroncine disseminate qua e la nell'androne erano vuote come in attesa che qualcuno si sedesse. Provò a sedersi sperando chissà di sbloccare un qualche accadimento ma non sortì alcun effetto. Continuò la sua esplorazione in quel luogo immerso nel nulla più totale.
  Percorse un lungo corridoio perlinato attorniato da brutte e dozzinali stampe di paesaggi e scene di vita paesana incorniciate da altrettanto brutte cornici in acciaio satinato. I suoi passi non si potesse certo di che rimbombassero poiché il linoleum assorbiva il calpestio, l'unico rumore che si udiva era il cigolio della gomma delle ciabatte. Arrivò così alla sala ristorante, quella che avrebbe dovuto usare quella mattina per la colazione per poi dirigersi ad una riunione di aggiornamento. La lunga sfilza di tavoli apparecchiati solo con le bianche tovaglie si rifletteva sulle finestre che si aprivano nella parete più lunga e dal quale si sarebbe dovuto vedere il cortile interno ma ancora una volta il tutto era avvolto dal buio più cupo. Ci passò accanto scansando le sedie, poi senza nemmeno rendersene conto, ne afferrò una e con forza la scagliò contro il vetro mandandolo in frantumi. Si aspettò di vederla cadere nel vano interno ma anch'essa venne praticamente avvolta dalla nebbia e fatta sparire.
  Cercò l'ingresso alla cucina e la trovò poco distante alla sua destra. Percorse il tratto mancante, aprì le due porte battenti ed entrò dapprima in una stanza di servizio che fungeva da passaggio con un tavolo in acciaio e un lavandino, poi si introdusse nella cucina vera e propria. Un stanza poco più grande di quella che si era lasciato alle spalle, ma con una fila di attrezzi e fuochi in acciaio che correvano lungo il muro. Un frigo, delle stoviglie appese, una grande cappa centrale anch'essa in acciaio, fino ad arrivare poi alla porta che conduceva alla dispensa, la aprì e dentro trovò le scorte, nulla di più. Sollevò lo sguardo e tra le due lampade incassate vide qualcosa che gli fece venire un'idea, forse pericolosa, pero doveva provarci.
Prese una sedie dalla sala ristorante. Frugò nei cassetti trovando finalmente ciò che gli serviva e si posizionò li sotto salendo sulla sedia. Sfregò il fiammifero facendolo accendere, poi lo spense e lasciò che il fumo denso e acre andasse a sollecitare il sistema anti incendio. Attese preparando le orecchie al frastuono acuto dell'avviso di allarme, ma nulla di tutto ciò accadde. Le delicate spire entrarono nell'apparecchio e tutto tacque. Buttò il fiammifero bruciacchiato con un gesto di stizza e scese dalla sedia.
  Iniziava ad averne abbastanza di tutto ciò. Si guardava attorno e sperava che da qualche parte venisse fuori qualcuno a dirgli che era stato vittima di una burla di pessimo gusto.

  Uscì con rabbia dalla cucina. Non sapeva nemmeno che ore fossero. Attraversò la sala ristorante e tornò nuovamente nella hall. Qui cercò un orologio, e quando lo trovò passando dietro la scrivani dell'accettazione lo guardò, segnava ancora nel tre di notte. Sarebbero già dovute essere ben oltre le tre e mezza secondo i suoi calcoli. Alzò la cornetta del telefono li vicino ma nessun suono veniva dall'apparecchio, sembrava come staccato. Controllò la presa, ma questa era saldamente infitta nella sua sede di appartenenza. Frustrato stracciò l'apparecchio dal muro e lo gettò via urtando un vaso che era poggiato in un tavolino li davanti. Era impossibile che si trovasse li dentro da solo. Non riusciva ad accettarlo. Non poteva. Era impensabile che fossero spariti tutti quanti; che un'intera città fosse sparita nel nulla. 
  Tornò di corsa nelle scale e cacciò un urlò chiamando non sapeva bene chi. Salì ancora qualche rampa e ancora chiamò a voce alta. Ritornò nuovamente nell'atrio di ingresso e pure li urlò ma ancora una volta non rispose nessuno. Si ricordò del suo cellulare che aveva in tasca. Convulsamente lo prese. Fortunatamente era acceso. Guardò ancora una volta l'ora e anche qua segnava sempre le tre. Il cuore iniziò a battere più forte e si agitava sempre più. Attivò la rubrica e scorse la lista dei numeri fino a trovare quello del marito. Premette col pollice e portò l'auricolare all'orecchio destro. Squillava. Squillava finalmente. Un respiro di speranza avvampò l'anima. Squillò, certo, ma non rispose nessuno. Riprovò di nuovo, con lo stesso risultato. Provò allora a contattare il numero di casa, dava segnale attivo, ma neppure qua ricevette una risposta. La disperazione iniziava a prenderlo come fosse stata un serpente che attanaglia lentamente la preda tra le spire e non lascia più scampo. 
  Tornò allora in camera sua, la scarpa era ancora li come l'aveva lasciata. Si affacciò dalla finestra e nuovamente chiamò. Sempre il silenzio assorbiva ogni suono e la sua voce si perdeva. Salì a perdifiato i restanti piani. Urlava e chiamava in continuazione. Provò a usare l'ascensore, che fino a quel momento aveva snobbato. Premette il pulsante e attese. Forse per una sorta di inquietudine sul chi o cosa potesse venirne fuori da li dentro l'uomo si allontanò e lo guardò aprirsi da dietro l'angolo di un pilastro. Al suono del campanello le porte si aprirono e al suo interno si palesò il nulla. Vuoto. Si sentì un po' sciocco, ammise a se stesso.
  
  Ritornò nel letto della sua stanza e si coricò dopo che ebbe bevuto una delle bottigliette di alcolici nel mini frigo sotto la scrivania. Si gettò tra le coperte e vi si avvolse come per cercare del conforto. La testa gli doleva e la gola bruciava per il troppo urlare. Lentamente e annebbiato dai vapori si assopì per qualche istante. Si svegliò poco dopo con l'idea che quello che era successo era stato un brutto sogno, ma quando si accorse che così non era scoppiò in un pianto disperato e malinconico. Nuovamente prese il telefono e compose il numero, ancora una volta squillava, però nessuno rispondeva. Non capiva più nulla. Non provava freddo, caldo o fame, era stremato e voleva solo che qualsiasi cosa fosse successa avesse termine all'istante e poter andare via da li dentro.
  Allora pensò a ciò che sino al momento aveva scartato non sapeva nemmeno lui perché. Si era dimenticato la cosa più banale. Se voleva uscire doveva usare la porta dal quale era entrato la mattina. Si sollevò dal letto, si lavò la faccia per ricomporsi e scese al piano inferiore usando l'ascensore. Questo si richiuse con un rumore di metallo e il suo stomaco si contrasse. I piani si susseguivano lentamente, vedeva la luce filtrare ad ogni passaggio. Alla  fine della corsa la cabina sobbalzò. Un delicato ding! aveva avvistato che era arrivato a destinazione. Uscito da li dentro quasi con un sospiro di sollievo si avviò nuovamente al banco della reception e una volta superato a passi svelti si diresse verso la porta in legno. Dal vetro vedeva attraverso. Poteva scorgere solo ciò che aveva visto sino a quel momento... il buio e la nebbia. Vedeva riflesse anche se stesso e si guardava. 
  Si portò davanti ad essa e restò immobile a fissarla per un tempo che sembrò infinito.
  Controllò nuovamente l'ora nel telefono, ancora le tre, sempre le tre da non sapeva più quanto.
  Avrebbe avuto il coraggio di aprire quella porta e varcarla oltre? Chiuse gli occhi e inspirò.

giovedì 15 dicembre 2022

The Ring; il libro

Leggenda metropolitana narra che stia circolando una videocassetta con registrato sopra un video senza logica ma allo stesso tempo molto inquietante. Una volta guardato però si ha solo una settimana di tempo prima di morire. Parte da qui l'indagine e il conto alla rovescia del giornalista Kazuyuki Asakawa assieme ad un amico, Ryūji Takayama, che dopo aver visto anche loro la registrazione cercano di scoprire come siano morti quattro ragazzi e se la cassetta sia realmente posseduta da una forza tanto malefica quanto mortale e come sia stata creata. Da questo libro, il primo di una trilogia, sono stati tratti vari film più o meno rispondenti alla trama dei romanzi.

domenica 27 novembre 2022

Le due di notte:

 Erano circa le due di notte. La strada fuori era silenziosa, solo il vento faceva battere le tapparelle e il ragazzo continuava a rigirarsi da ore tra le coperte senza riuscire a prendere sonno. Quell'oggetto che gli avevano consegnato ore prima lo tormentava e incuriosiva allo stesso tempo. Il colore verde lucente e la sua perfetta rotondità lo affascinavano. Doveva assolutamente alzarsi e guardarlo, benché gli fosse stato proibito farlo, ma la curiosità era più forte della voglia di dormire. Così accese la lampada sul comodino affianco a lui e aperto il cassetto cercò la scatolina con dentro l'oggetto tanto desiderato. Eccola, splendida, lucente, rotonda e perfettamente liscia senza nemmeno una asperità. Avvolta in un panno di color malva non aveva il coraggio di prenderla tra le mani per paura di romperla. Poi d'improvviso una forte luce si sprigionò, avvolgendolo. Dovette coprirsi gli occhi per non essere abbagliato, dopo di ciò la bianca luce svanì. Aprì gli occhi ma non vide nulla, era avvolto dal buio. Man mano che gli occhi si abituavano all'oscurità vide sopra la sua testa un cielo blu profondo e li, miriadi di stelle brillavano come schegge d'argento, stelle che venivano coperte dalle nubi che passavano e correvano velocissime come quando qualcuno manda a velocità una registrazione video.
  
  Abbassò lo sguardo e si accorse di trovarsi come in un grande prato di campagna, la sua camera da letto era sparita. Attorno a lui la radura era illuminata da bianche foglie che erano simili a lacrime di cristallo che vibravano. Prese a camminare in quel silenzio, lasciandosi trasportare dall'odore di umidità tipica della campagna, calpestando l'erba bagnata. I suoi occhi esploravano tutt'attorno quel posto meraviglioso che gli infondeva una pace e una calma che non aveva mai provato. Era ammaliato dal fruscio delle fronde. In lontananza riusciva a percepire un debole rumore di acqua gorgogliante. Perciò si incamminò con l'idea di trovare l'origine del quel suono, passando attraverso le piante, sotto gli alberi che con le loro grandi fronde avevano ora coperto quel meraviglioso cielo. E infine lo trovò. Superata la boscaglia si trovò su l ciglio di una collina e da li li vide. Da lontano sembrava un lunghissimo nastro d'argento che correva adagiato su in prato dove non c'era nulla a perdita d'occhio, solo quel corso d'acqua. Scese perciò l'altura e percorrendo un sentiero finalmente si avvicinò. Da vicino poteva vedere sollevarsi delicati vapori di nebbia che danzavano come ninfe degli antichi racconti. A ben vedere però quello che da lontano pareva argento, era realmente ciò che appariva. Fluiva il delicato metallo liquido come dei capelli in acqua. Brillava sotto il baluginio delle stelle. Si avvicinò alla riva per taccarlo ma il terreno sotto di lui cedette andando a cadere nel fiume. 
  Dopo l'iniziale spavento fu sorpreso nello scoprire che non andava a fondo ma che semplicemente galleggiava su quella superficie e che essa lo trasportava come fosse stato una barca. Immerse le mani e quella sostanza argentea non rimaneva attaccata alla pelle ma scivolava via. Quel viaggio continuò facendosi trasportare dal dondolio. In lontananza però iniziò a sentire un rumore profondo che si faceva sempre più forte e dal punto di orizzonte si alzava una nube bianca. Capendo che si trattava di una cascata cercò di deviare il suo cammino ma qualsiasi cosa facesse continuava a scivolare. Lui provava con tutte le sue forze ma nulla, non si muoveva. Ormai era arrivato alla fine di quel viaggio. Il frastuono era tale che la cascata doveva essere immensa e lui non poteva fare più nulla; anche se cercava di nuotare contro e raggiungere la riva, la corrente era diventata impetuosa e lo buttava da una parte all'altra fino alla fine. Venne travolto dalla schiuma che si lanciava nel vuoto sparendo fra i bianchi vapori.

  Improvvisamente aprì gli occhi come dopo uno shock e prese aria. Si ritrovò seduto sul bordo del suo letto e guardandosi le mani vide che tremava in modo quasi spasmodico. Si girò per guardarsi attorno e scoprì di trovarsi nuovamente nella sua camera. Guardava attorno a lui con occhi sgranati. Davanti a lui, per terra c'era la sfera che brillava alla luce della lampada. La fissava.  una miriade di emozioni gli attraversavano il corpo come fosse corrente elettrica. Restò li a fissare quell'oggetto poggiato davanti ai suoi piedi. Si girò a guardare che ora fosse e le lancette segnavano ancora le due di notte.


giovedì 3 novembre 2022

Il delitto della terza luna


Il delitto della terza luna o meglio conosciuto nelle edizioni successive come Red Dragon; prima di Il silenzio degli innocenti Thomas Harris ci presenta il dr. Hannibal Lecter in un thriller mozzafiato dove l'assassino seriale fortemente disturbato mentalmente uccide ad ogni ciclo lunare lasciando sulle vittime segni evidenti di morsi e inserendo pezzi di vetro negli occhi.




Ad intervenire sarà il detective Will Graham ritiratosi dal suo lavoro dopo uno sconvolgente faccia a faccia con Hannibal e si vedrà costretto a chiedere proprio il suo aiuto. Da questo libro venne tratto un primo film nel 1986 dal titolo Frammenti di Paura e il successivo rifacimento più noto del 2002 con il titolo di Red Dragon.


domenica 30 ottobre 2022

La danza delle ore

  Strana notte quella che mi appresto a trascorrere assieme al mio collega e amico Sebastiano.
  Quello che seguirà sarà il resoconto scritto e personale di ciò che accadrà in questa casa.
  L'edificio a tre piano è stato suddiviso in tre zone diverse, una per ogni piano dove qua quasi cinquanta anni fa vennero ritrovati i corpi della famiglia DiValenzi, uccisa barbaramente dal figlio maggiore Riccardo, uccisosi poi nel corridoio dopo aver ucciso anche il fratello più piccolo, Dario.
  Il padre venne trovato al piano terra accovacciato davanti alla porta di ingresso, mentre la madre, Silvia era ancora nel suo letto tra le coperte quando gli agenti entrarono nella casa. Il gesto del figlio è stato interpretato come quello di un forte rancore nei confronti dei genitori, sfociato poi nel terribile omicidio del Caso DiValenzi. Questo è quanto affermato dalla polizia.
  Ciò che cerchiamo di capire è cosa sia realmente avvenuto il 12 ottobre del 1974.

  Ore 23:15.
  Le macchina sono pronte, questa strumentazione sensibile alle variazioni magnetiche ci aiuteranno a fotografare le varie aree della casa. I registratori sono già in funzione da un'ora e sono stati sistemati in ogni stanza come anche le camere ad infrarossi. Con noi si sono uniti anche due medium che in questo momento si trovano nel salone principale. Al momento la casa è tranquilla. Pensiamo che in una sola notte di riuscire ad avere le risposte cercando di metterci in contatto con tutti i quattro i componenti della famiglia.
  
  Ore 23:30.
  Per ora tutto è quieto, tra qualche minuto i due medium cercheranno di mettersi in comunicazione.
  La casa è avvolta dal silenzio, solo da fuori il forte vento attira la nostra attenzione con il suo soffiare sulle finestre e sugli alberi.
  Ecco che si preparano. Da questo momento il nostro silenzio è obbligatorio. 
  Al centro dal tavolo è stata posta una tavola spiritica, chiamata Tavola Ouija con il quale verranno lette le risposte.
  Il salone nel quale ci troviamo è molto spazioso. Una serie di quattro finestre in legno ormai invecchiato e scrostato apre la vista al cortile con la fila di alberi di castagno che si muovono al vento. Alle pareti sono appesi dei quadri anch'essi degradati dal tempo che ritraggono paesaggi montani e campestri, acquistati forse in qualche mercatino a basso prezzo. Mobili e credenze completano l'arredamento che è però impreziosito da un pianoforte in legno scuro addossato alla parete.
  Poichè le luci sono state spente, siamo illuminati fiocamente da delle abatjour che irraggiano una delicata lingua di luce gialla sul soffitto.
  I due intermediari spiritici, di cui non farò i nomi, sono attorno al tavolo. Durante i preparativi ci hanno avvisato che non sempre è possibile un contatto diretto in breve tempo a volte ci vuole più di una seduta prima che si presentino.

  Ore 23:45.
  Da un quarto d'ora è iniziata la seduta. I due medium sono seduto uno affianco all'altro e poggiano le mani sulla tavola. Davanti a loro è stata posta una sedia, dove idealmente verrà usata dallo spirito per "accomodarsi" per raccontare cosa sia successo. Sappiamo che questo esperimento non avrà nessun valore legale e probabilmente nemmeno scientifico, ma speriamo rimarrà come testimonianza e documento per chiunque voglia sapere consultando fonti alternative.
  La prima persona che cercheremo di contattare sarà il padre.
  I due stanno cercando di farlo arrivare e pronunciano il suo nome in continuazione. Continuano a chiamarlo con voce calma e chiara.
  Devo registrare il fatto che improvvisamente la temperatura all'interno della stanza ha iniziato ad abbassarsi sempre più come anche quella delle altre camere, di ciò me ne da conferma anche il collega dal pc.
  Infatti da quello che leggo nei volti dei medium è il segno che deve essere presente lo spirito. La situazione è di attesa: continuano a ripetere il nome dell'uomo. Le domande che verranno poste sono state preventivamente concordate e serviranno come traccia per la descrizione successiva degli accadimenti.
  
  Ore 00:00.
  Le prima due domande sono state poste, era domande di routine per avere conferma se ad essere presente fosse la persona voluta, la risposta è stata affermativa; per fortuna.
  Ora continueranno con le restanti domande che verranno poi poste al resto della famiglia.
  Riporterò di seguito la domanda con una trascrizione il più fedele possibile dalla risposta.

  "Visto che sei tu, sei in grado di raccontare ciò che accadde quella notte?".
  "Erano circa le dieci e mezzo di notte. Mi trovavo in questa stanza a guardare la tv. Non c'era nessun rumore in casa ed era tutto al buio, solo da fuori si sentiva il forte temporale. Mi trovavo li dove ora c'è quella credenza in vetro. Trovandomi di profilo rispetto alla porta vidi con la coda dell'occhio un figura nera. Questa avanzò velocemente verso di me senza dire nulla e improvvisamente sentii uno sparo che colpì la gamba destra. Dal dolore scivolai per terra urlando. Quella figura continuava a non dire una parola. Io udivo solo il suo respiro profondo e lento. Si muoveva tranquillamente e seguiva i miei movimenti. Quando mi trascinai alla porta, mi allungai, ma un altro colpo di fucile andò ad abbattersi sul petto".
  "Perchè credi ti abbia fatto questo?"
  "Perchè voleva punirmi del fatto che avevo minacciato di mandarlo via di casa, dopo l'ennesima lite e il suo fare uso di droghe".

  Ore 00:15.
  Durante il primo contato il collega al computer ha rilevato una forte presenza di energia magnetica sia in soggiorno che nell'ingresso. Vedremo in seguito se siamo riusciti a catturare qualcosa tra le immagini o nelle registrazioni ad alta frequenza.
  Col proseguire della notte il tempo sta volgendo al brutto. Le ombre degli alberi si accalcano alle pareti e si piegano alla forza del vento e vengono rischiarati da sporadici bagliori bianchi del temporale in arrivo.
  Nel frattempo i medium stanno facendo una pausa. Come primo commento posso dire che stiamo lavorando molto bene.
  Ora però sta accadendo qualcosa che non ci aspettavamo, dalle scale che conducono al piano superiore sta provenendo uno strano lamento, ma non riusciamo a a capire a cosa possa appartenere, sembra un suono gutturale e profondo. Ci siamo spostati verso lo schermo delle telecamere IR e vediamo tre bagliori luminescenti. Uno pare che si stia muovendo velocemente  verso il piano di sora, La scena si ripete ad intermittenza come in una moviola; si sentono della urla, sembrano quasi... no, no è proprio la voce di una bambino che si perde in un eco tra le mura della casa. Mi informa il collega che i macchinari stanno registrando energia elevata al piano di sopra.

  Ore 00:30.
  Di sicuro c'è qualcosa in questa casa che non è in pace e speriamo di venirne a capo.
  I medium stanno per iniziare. Abbiamo chiesto che venisse interpellata la madre e come prima trascriverò la conversazione.

  La richiesta di interazione con lo spirito viene così formulata. 
  
  "Dal profondo del buio stiamo cercando lo spirito di Silvia che morì in questa casa il 12 ottobre 1974".
 
  La domanda è stata ripetuta un paio di volte e forse ci siamo.

  "Dicci il tuo nome e la causa della morte".
  "Sono Silvia Manni, sposta con Franco DiValenzi e madre di due figli. Ma non so come sono morta".

  Molto strano un morto che non si accorge di essere morto; commento personale.
  Abbiamo deciso di continuare con le domande.

  "Visto che sei Silvia, raccontaci ciò che accadde quella notte."
  "Come ho detto non so come sono morta. Ricordo solo di esseri coricata e poi più nulla".

  Nuovamente gli stessi rumori di prima hanno ripreso, ma questa volta si sono aggiunte le porte che hanno sbattuto per qualche istante in modo violento. Sempre al piano di sopra si sente un rumore come di qualcuno che graffia il legno. Il momento di concentrazione è saltato, ora dovranno interrompere e riprendere a breve. 
  Mi sono avvicinato al collega seduto davanti allo schermo per avere qualche delucidazione e mi ha confermato che tutto procede tranquillamente, la strumentazione funziona regolarmente e mi ha informato che quando la donna ha iniziato a comunicare le luci della cucina si sono accese e spente un paio di volte.

  Ore 01:00.
  Siamo arrivati all'una di notte. La serata si preannuncia lunga a quanto sembra. Abbiamo già fatti fuori cinque bicchieri di caffè a test. Il bosco attorno a noi è quanto di più classicamente tetro possa esserci. Una massa fitta di rami e fronde che con il temporale ormai iniziato fa oscillare i grandi alberi verso la casa.
  Ok, si riprende proprio adesso. I medium hanno deciso di cambiare metodo di contato, si userà la classica seduta spiritica dove sarà il convocato a parlare attraverso l'interlocutore.
  
  Sono appena stato chiamato dal collega al computer e mi ha fatto vedere una cosa molto particolare; sugli schermi delle camere a infrarossi sta accadendo una cosa che non ci aspettavamo.  L'immagine per ovvie ragioni non è nitida, ma si intuisce che sono due persone e si trovano nel corridoio al piano di sopra, una sembra più grande e sta trascinando l'altra probabilmente per i piedi. 
  Quello che ha registrato è stata la morte del fratello più piccolo. Si sta aggrappando con le mani al pavimento mentre viene trascinato di peso. Però qualcosa non torna, vicino alle scale si vede un terzo bagliore. Nessuno ha mai parlato di una terza persona nella casa al momento dell'omicidio.
  É giunto il momento di chiamare il fratello più piccolo, Dario. Il medium è pronto ad iniziare. Il collega fungerà da assistente. La tavola è stata riposta.

  "Dal profondo del buio, sto cercando di contattare lo spirito di Dario DiVAlenzi. Riccardo DiVAlenzi, morto in questa casa, ti sto cercando, dai un segno se sei presente".
  Il medium è in una fase di concentrazione elevatissima, riesco a vedere le piccole gocce di sudore sulla fronte nonostante qua la temperatura sia molto bassa.

  Ore 01:30.
  Il ragazzo è particolarmente reticente, non sembra abbia intenzione di palesarsi. Da quello che so è che il medium dovrebbe essere posseduto dallo spirito e parlare attraverso la sua voce, un'operazione molto delicata e pericolosa.
  Ecco ci siamo, dopo molte richieste potrebbe essere arrivato.
   
  "Dicci quale è il tuo nome e come sei morto".
 "Ciò che tu cerchi è qui. Sono Dario DiVAlenzi, morto in questa casa con un colpo di fucile al volto".
 "Visto che sei tu, sei in grado di raccontarci ciò che accadde quella notte?".
  La voce che si sente è decisamente innaturale, grandi sospiri gutturali accompagnano la conversazione.
  "Tutto iniziò quando mi svegliai improvvisamente a causa di un colpo molto forte, non riuscivo a cosa fosse stato. Mi alzai e vidi che erano l'1:45. Fuori c'era il temporale.
  La mia camera era chiusa e da sotto vedevo la sottile striscia di luce che arrivava dal corridoio, pensai fosse caduto uno dei quadri così restai nel letto e mi rimisi sotto le coperte, ma prima vidi un'ombra passare, se fermò davanti alla mia porta e poi si allontanò.
  Qualche istante dopo le mia orecchi vennero squarciate dal suono di un'esplosione, Mi alzai di scatto e attesi seduto sul letto. Iniziai a tremare. Mi aspettavo di sentire che qualcuno uscisse dalla camere per vedere cosa fosse successo, ma non avvenne. Così mi feci coraggio e mi alzai.

  Ore 02:00.
  Uscii dalla mia stanza. L'unica luce arrivava dalla stanza dove stava mio padre con la tv accesa. In terra e sulla mia porta c'erano delle gocce di quello che sembrava sangue trascinato da delle dita. Pensai si fosse fatto male qualcuno. A quel punto chiamai i miei genitori, ma non risposero, chiamai allora mio fratello che un attimo dopo uscì dalla camera dei miei genitori. Mi fissò. Fu la cosa più agghiacciante che avessi mai visto, sino a qual momento si intende. Fra le braccia teneva come fosse un bambino piccolo il fucile di mio padre. Mi disse qualcosa ma non lo capii. Il volto era deformato in una espressione terrificante. Mi guardò, poi scattò in una espressione di rabbia. Gli chiesi cosa fosse successo, ma non rispose. I suoi occhi spalancati erano fissi su si me. Tornai subito in camera mia e mi chiusi a chiave. Sentivo i pasi che si avvicinavano costanti: -pat, -pat, -pat.
  Tenevo l'orecchio teso sulla porta. Il mio respiro si fece sempre più corto man mano che si avvicinava: -pat, -pat, -pat. Passò davanti alla mia porta e lo sentii scendere poi per le scale.
 
  Ore 02:30.
  Non ebbi la forza di vedere dove andava. Ricordo la pioggia che batteva forte e i tuoni che facevano vibrare i vetri. Rimasi fermo ad ascoltare non con quanto tempo.; l'unica cosa che sentivo era il mio respiro e il battito del cuore.
  Lentamente aprii la porta e uscii, ma non mi mossi, rimasi sul uscio immobile: ascoltavo.
  Iniziai a camminare al buio, il temporale aveva fatto saltare la corrente. Con me avevo la torcia che stava nel mio cassetto, ma non osavo accenderla. Continuai a camminare tastando il muro, arrivai così al corrimano delle scale. Ogni tanto sentivo sotto le dita dei piedi qualcosa di umido e appiccicoso che volli credere fosse acqua. Scesi il più silenziosamente possibile le scale e arrivai al piano di sotto ed entrai nel soggiorno. 
  
   Ore 03:00
  I lampi illuminavano per brevi istanti il grande salone. Accesi la torcia e la feci scorrere nel buio. Vidi del sangue vicino alla poltrona dove si siede mio padre, e la scia continuava sino all'ingresso che era aperto e dal quale entrava l'acqua. Trovai il suo corpo stesso a terra. Non potei trattenere le lacrime di dolore e un lamento di dolore usci dalla mia bocca. Le mani iniziarono a tremare intensamente facendo vibrare la luce. La spensi all'istante per lo shock. Cosa era successo? Dopo un po' la riaccesi per cercare il telefono li vicino, ma dal buio illuminai per un istante un viso che mi guardò. Mi si gelò il sangue. Aveva in mano ancora l'arma. Sorrise. Iniziai così a correre salendo le scale, ma arrivato alla fine inciampai sbattendo pesantemente la bocca spezzandomi gli incisivi. Mi alzai frastornato, ma venni ributtato nuovamente a terra, venni colpito con un colpo alle gambe. Il dolore fu straziante. Venni trascinato a forza mentre cercavo di fare resistenza aggrappandomi a qualsiasi appiglio con le mani, arrivando a graffiare perfino la parete. Fu inutile, arrivato nell'angolo del corridoio nuovamente un colpo mi fu esploso contro e poi il nulla".
 
 "perchè credi ti abbia fatto questo?"
  "Non l'ho ancora capito, io e mio fratello eravamo molto uniti, non avevamo mai litigato in modo serio".
  La voce è sparita improvvisamente e tutto è tornato silenzioso. Il medium che ha fatto da tramite è rimasto seduto e sta bevendo dell'acqua. L'assistente che ha posto le domande lo sta aiutando a rimettersi.
  Questo quindi è stato il racconto del fratello più piccolo. Dario DiValenzi di anni diciotto all'epoca.
  Non posso però fare a meno di ripensare a tutta la vicenda. Da quello che abbiamo appreso dalla polizia e confrontandole con ciò che c'è stato raccontato ci sono cose che non tornano.
  Ci si chiese per esempio che fine fece il coltello che venne usato dal fratello più piccolo per difendersi provocando il taglio dietro la gamba di Riccardo; anche se però Dario non ci ha parlato di questo fatto. Perchè come mise in luce l'autopsia il taglio nella gamba era inferto con una lama.
  
  Ore 04:30
  É giunto il momento di chiudere il cerchio. Sono trascorse poco più di cinque ore da quando abbiamo iniziato, e questa credo sia stata la notte più lunga e intensa della mia vita e di chiunque sia con me.
  É incredibile come si sia creata un aria di attesa così forte. Sarà pure il temporale che ci mette del suo a complicare le cose.
  Qua è tutto pronto. Si inizia.

  "Dal profondo del buio sto cercando di entrare in contatto con Dario DiValenzi, Dario, colui che uccidere la sua famiglia in questa casa se sei qui dacci un segno".

  Ancora nulla, la domanda è stata posta più sei volte ma ancora non reagisce.
  
  04:35.
  Poco fa c'è stata come dire, una sorta di interferenza medianica, stavamo cercando il contatto di Dario ma il medium ha esordito con una affermazione di una voce che chiedeva di poter parlare e non era il ragazzo.
 Nuovamente chiede di essere ascoltato.

  "Fate parlare me ora".
  "Sei Dario?".
  "Fate parlare me".
  "Chiunque tu sia, se non sei Dario lascia che sia lui ad entrare in comunicazione".
  Il medium continua ad essere posseduto da un diverso spirito che chiede di parlare.
  "Dario DiValenzi, ti stiamo chiamando, parla attraverso la voce del medium".
  "Sono 50 anni che non trovo pace", ancora una volta assistiamo ad una interferenza spiritica, può succedere. Abbiamo deciso di continuare vista la sua insistenza. Devo far notare che la voce del tramite ora viene emessa in  modo strozzato, sembra fare fatica a parlare e gli occhi sono diventati bianchi e tremano li palpebre.

   Lo spirito dice che ha da raccontare molte cose.

  "Siamo qui per questo, se vuoi parlare hai tutta la nostra attenzione".
  "Dovete sapere cosa è successo".
  "Di chi stai parlando?".
  "Sono qui, sono Riccardo, sono io che sto parlando adesso".
  Mai mi capitò una cosa del genere, due spiriti diversi si stanno contendendo il diritto di poter parlare nello stesso istante. Il medium è in grossa difficoltà, è chiaramente visibile.
  "Riccardo, sei tu?".
  "Si". La voce è roca e flebile.
  "Non potete sapere cose c'è da questa parte, non immaginate come si stai da questo lato tra il buio eterno; urla, sofferenza, disperazione... è giusto che io sia qua ed è giusto che ci siano anche i miei genitori, ma lui no, non lui, non ha avuto nessuna colpa".
  "A chi ti riferisci?".
  "Parlo di mio fratello Dario, lui non c'entrava in questa storia".
  "Perchè dici questo? eppure lo hai ucciso".
  "Ho molto da raccontare e ciò che seguirà sarà il mio di resoconto. Mio padre si vantava di essere un grande uomo, un uomo importante e di affari con la sua famiglia felice e perfetta. Che ipocrita. Io invece ero quello disprezzato e insultato. Mi troneggiava. Non ero degno del suo cognome. Non ero diventato come lui nella vita. La mia vita ai suoi occhi era bruciata, finita, annientata e questo non lo sopportava. Io ero quello che si era liberato dalla sua tirannica oppressione e non lo sopportava, ma ero io a non sopportare più lui. É da quando aveva diciotto anni che si scagliava contro di me. Ero arrivato ad odiarlo. Così dopo un'altra furiosa lite, la notte del 12 ottobre mi alzai dal letto, scesi in cantina e presi il fucile che teneva nell'armadio e tornai in camera. In cucina vidi ancora la luce accesa, era mia madre, quella troia buona solo a farsi sbattere da altri senza vedere in che condizioni era ridotta la sua famiglia senza fare nulla. Beveva alcol. Andai da lei e parlammo, era completamente ubriaca. Finimmo per avere una pesante discussione ovviamente, mi mandò a prendere una nuova bottiglia di vermouth. Non ce la facevo a vederla così. Di li a pochi istanti sarebbe crollata, ma per accelerare i tempi sciolsi una quantità sufficiente do sonnifero che usa lei per dormire, gliela versai nella bottiglia dopo diche la bevve tutta e andò a letto completamente stordita. Svenne sul cuscino. Attesi paziente in camera mia mentre fumavo una cassa ascoltando musica classica La danza delle ore. Riccardo ero sicuro che dormiva da bel po'.
  Non so che ore fossero, spensi il mozzicone, controllai l'arma, tutto a posto. Scesi le scale al buio, girai a destra e rimai sull'ingresso del salone avvolto dal buio. Solo la tv mi illuminava debolmente. Finalmente mio padre si accorse della mia presenza. Il cuore prese a battermi. Lui non fece a tempo ad alzarsi dalla poltrona che ero già vicino a lui e gli sparai ad una gamba. Urlò. Fu una sensazione appagante. Volli godermi quegli istanti; lo feci camminare, meglio dire strisciare verso l'uscita della stanza poi appena fu vicino alla porta di ingresso lo freddai con un colpo al petto e non si mosse".
  "E tua madre?".
  "Lei, credo dormisse o forse era già morta, ma poco importava. Lei non mi odiava e forse fu per quello che ebbi pietà e la addormentai, ma ciò  non mi fermò da ciò che dovevo fare. Ciò che non sopportavo era la sua inettitudine e lo squallore della vita promiscua. Passava metà della giornata a prendere pastiglie, anti depressivi e alcol e non faceva altro che lamentarsi della sua vita, così per sfuggire a se stessa andava in giro la notte come una cagna fradicia in cerca di letti più caldi, visto che l'unico uomo che non toccava più era mio padre, troppo molliccio e calvo. 
  Ne aveva avuto abbastanza. Salii le scale, camminavo lentamente. Mi fermai poi davanti alla porta di camera di mio fratello, lui si che mi capiva, era il mio migliore amico. Accarezzai la porta. Dopo di che mi diressi da mia madre. Era coricata a pancia in giù, non accesi nemmeno la luce, mi avvicinai e sparai alla nuca: Bham! venni completamente investito dal sangue che andò ad aggiungersi a quello di mio padre, lo sentivo colare sul viso. Non avevo ne rimorso ne rimpianto, però dovevo finire, il che significava ammazzarmi, in quel momento venni interrotto dalla voce di mio fratello che mi chiamava Uscii dalla stanza da letto tenendo il fucile tra le braccia, mi guardò sconvolto. Io non volevo mi vedesse così, gli dissi di andare in camera e di chiudersi a chiave, ma lui restò li a parlarmi. In me montò una folle rabbia, non doveva vedere cosa avevo fatto. Andai vero di lui, non gli avrei fatto nulla, se non spaventarlo ed entrò in camera sua e li si chiuse. Passai davanti a camera sua e scesi le scale tenendomi al corrimano facendolo scivolare col sangue.
  Arrivato alla porta di ingresso spostai il corpo di mio padre con il piede e la aprii, venni investito dalla pioggia che cadeva abbondante. Continuai a camminare al freddo, non sapevo dove sarei andato, ma mi sarei ucciso. Intanto l'acqua mi puliva il viso e le mani dal sangue".
  
  Ore 5:30.
  "Mi diressi verso il boschetto quando accadde ciò che non pensai potesse accadere. Mi trovai davanti ad una figura vestita di nero. Non disse nulla, non capii che ci facesse li. Improvvisamente venni aggredito, si scagliò con violenza. Caddi per terra tramortito sotto la pioggia. Quando ripresi conoscenza mi alzai non avevo più il fucile e vidi che la porta di ingresso era aperta, cos' mi ricordai di mio fratello. Corsi per andare da lui. Dal piano di sopra sentii le sue urla, salii le scale più in fretta che potei."

La disperazione della spirito di Riccardo è talmente profonda che il medium percepisce il suo dolore e piange, è impressionante.
 "Ma fu troppo tardi, un colpo di arma da fuoco mise a tacere le sue grida. Mi avventai contro l'aggressore di Dario, doveva pagarla quel maledetto. Ne seguì una colluttazione tra noi due. Durò pochi minuti credo. Caddi a terra e sentii un forte dolore alla gamba, era un dolore come non lo avevo mai provato. Mi aveva ferito ai tendini del ginocchio destro. Non potei più fare nulla ormai. Mi avvicinai a Dario. L'aggressore conservò il suo coltello e prese il fucile e mi sparò nel corridoio vicino a mio fratello. Ecco cosa accadde quella notte. Non ho altro da aggiungere. Addio".

  Poche parole riesco a dire dopo quello che ha raccontato. Tutti siamo esterrefatti. Dario non fu quindi ucciso dal fratello allora e lui non si suicidò, venne ucciso da un terzo aggressore che. Ecco spiegata la terza ombra che apparve sugli schermi, ma la polizia non ha mai trovato le sue tracce.
  Stiamo risvegliando il medium, in questo momento è estremamente provato. Gli abbiamo raccontato cosa fosse successo e come è ovvio è palesemente scosso. 
  
  Ore 06:00.
  Ora che sappiamo questo nuovo fatto abbiamo deciso di fare l'ultimo atto per chiudere questa vicenda.
  Il medium ha acconsentito a procedere e ora cercheremo di entrare il contatto con l'aggressore che era entrato da fuori.
  Hanno però deciso che faranno a cambio per quest'ultima seduta. Sarà certamente un caso da riaprire.
  Come in precedenza le domande per chiamarlo sono state poste, aspettiamo che risponda.
  Ci siamo, dalla voce del medium esce un suono ma non capiamo cosa possa essere. Gli è stato chiesto di comunicare un po' più chiaramente se gli fosse stato possibile.
  Il medium sta facendo molta fatica ad articolare in modo chiaro le parole. LA voce è gutturale ma è più comprensibile. 

  "... questo che state facendo è male".
  "Perchè dici questo?"
  "Non sapete cosa avete fatto".
  "Se sei l'aggressore che entrò in questa casa la notte del 12 ottobre del '74, puoi raccontarci cosa accadde quella notte?".
   "Si. Il temporale quella notte mi sorprese mentre mi trovavo nascosto tra gli alberi. Entrai scavalcando la recinzione e mi nascosi li sotto.. Mi avvicinai lentamente ancora sotto gli alberi, la casa era totalmente al buio, solo i lampi la illuminavano. Portavo con me una pistola e un coltello. Improvvisamente dalla casa si aprì la porta principale e uscii una persona armata di fucile, capii che mi avevano visto. Così camminai con passo svelto e sapendo che non mi aveva ancora visto gli andai di sopra e lo aggredii facendolo cadere e colpendolo più volte con il calcio della pistola lo lasciai li tramortito. Presi il suo fucile ed entra in casa. Era tutto al buio. Aspettai nell'ingresso, c'era un silenzio particolare. Ascoltai quel silenzio per recepire dei rumori. Sentii poi dei passi scendere dalla scale. Un lampo fugace illuminando l'ingresso mi fece capire che si trattava di un giovane che scendeva le scale, Mi nascosi in mezzo al buio poichè vedevo il fascio della sua torcia che si era accesa ed entrare nella stanza a fino all'ingresso. Come mosse la luce quello stesso istante vidi il corpo di un uomo morto vicino alla porta. Lo vide anche il ragazzo che trasalì per il terrore. Spense la luce e lo sentii singhiozzare ed ansimare. Poco dopo la riaccese e fu in quell'istante che mi illuminò, sgranando gli occhi spense la luce a corse su per le scale ma arrivato al ultimo gradino scivolò sbattendo la faccia. Mi avvicinai e lo afferrai per le caviglie. Urlava il suo terrore e si divincolava così mi scivolò dalla presa. Tramortito si mosse ma io scesi afferrai il fucile e lo colpii alla gola, un colpo secco. Non ebbi il tempo di girarmi che venni aggredito alle spalle e fui buttato a terra. 
  Il fucile mi scivolò dalle mani, così per difendermi presi il coltello e colpii quasi alla cieca. Il suo grido di dolore mi fece capire che avevo colpito a segno. Si toccava la gamba destra. Misi a posto l'arma e preso il fucile lo colpii alla testa. Non sapevo cosa fare, andarmene o continuare per ciò che ero andato a fare, ovvero rubare . Così decisi di continuare il mio progetto ed entrai camera da letto ma quando entrati vidi il corpo della donna completamente dilaniato e insanguinato persi completamente il senno, tutto l'orrore che avevo visto esplose e volli scappare via. Nella foga della corsa inciampai nelle scale buie sbattendo la testa più volte. Riuscii ad uscire dalla casa ma ero completamente frastornato e non capivo dove stessi andando. Non capivo nulla, la pioggia e i tuoni aumentavano il senso di stordimento, raccolsi la pistola che avevo lasciato cadere e decisi di allontanarmi il più velocemente possibile. Ero totalmente frastornato che non mi accorsi di stare andando verso lo stagno della loro casa. 
  Inciampai in una radice e caddi pesantemente nell'acqua. Avendo i riflessi totalmente annebbiati non riuscivo a nuotare, e così annaspai per un po', poi sprofondai li sotto.
  "Il tuo corpo non venne mai trovato?".
  "No, voi però non lo direte a nessuno".
  "Che intendi?".

  Il medium si è alzato in piedi. Il suo volto ha cambiato totalmente espressione, è spaventosamente irriconoscibile. Ha detto che sappiamo troppe cose che non debbono essere conosciute.
  
  Gli strumenti sono come impazziti mi dice il collega dal pc, stanno segnalando forti energie magnetiche e i rilevatori sono sballati. 
  
  In questo momento tutte le porte si stanno aprendo e chiudendo da sole. 
  L'assistente del medium sta cercando di risvegliarlo, ma non ci riesce. Le luci si accendono e si stanno spegnendo. Urla ovunque. 
  Sento urla straz...


  12 ottobre 2021. Ore 06:30.
  Questo che segue è il resoconto di ciò che accadde questa notte in casa dei DeValenzi. Se volete sapere cosa accadde a coloro che vi entrarono, guardate i filmati che sono stati registrati.